Siamo in Georgia (Caucaso), una coppia di fidanzati americani (lui ispanico) prossimi al matrimonio affrontano un viaggio in queste terre selvagge seguendo i dettami del turismo “dal basso” ovvero zaino in spalla e scarpe comode, incontri ravvicinati con i locali, con le loro usanze e i loro costumi per meglio sentirsi inseriti nell’ambiente circostante, in una ormai tipica illusione del “vero viaggiatore” contemporaneo e occidentale. Per non perdere emozioni e luoghi particolarmente interessanti, essi, si affidano ad una guida locale.
Tra paesaggi misteriosi e insidiosi, deserti, gole, montagne spoglie e fiumi i tre camminatori tirano avanti tra barzellette, aneddoti e scherzi dell’ambiguo accompagnatore georgiano il quale si prende gioco in più di una occasione dei due innamorati esploratori, inebriati dalla natura sempre più brulla e desolata. Piano piano, passo dopo passo si cominciano ad intravedere le differenze tra i due mondi: quello della guida locale, pratico e schietto e quello dei due turisti che “galleggiano” in un mondo trasognante tra buoni sentimenti e “politically correct”. Le situazioni e i rapporti, comunque, si trascinano serenamente fino a quando la loro solitudine viene infranta da un improvviso incontro molto particolare e drammatico: un uomo armato accompagnato da due ragazzini. Da questo momento tutto cambierà.
Dopo l’incontro fatidico non si gioca più, ora è vita vera e le personalità dei personaggi vengono a galla prepotentemente, la regista scava a fondo mettendo in evidenza tre interiorità, tre solitudini assolute che si incontrano e si scontrano.
Il paesaggio arido e inospitale nel quale si svolge la vicenda aiuta lo spettatore ad immergersi nell’inconscio dei tre individui, ove si evidenzia oltremodo l’inadeguatezza e la debolezza dei caratteri. Vengono a scemare regole e inibizioni.
Il paesaggio, come dicevo, in questo film è un elemento viscerale, esso rappresenta il contenitore razionale di una vicenda banale e contemporaneamente complicata ma è soprattutto uno spazio dove risulta impossibile nascondersi, inoltre le molte inquadrature lunghe e fisse stile “Pro loco” ne alimentano questa tesi, malgrado siano prive di artifici e le sovraesposizioni molto “naturel” al limite della sopportazione producono invero una scenografia congeniale. Un altro elemento interessante che si sposa a meraviglia con il contesto naturale è l’interprete della guida georgiana Dato (Bidzina Gujabidze, attore per caso ma scalatore vero) il quale sa trasmettere la giusta dose di ambiguità e mistero da trascendere nel thriller.
Con pochi dialoghi e situazioni ridotte al minimo la Loktev (al suo secondo lungometraggio di finzione) è riuscita a costruire un’opera che si fa apprezzare, capace di indagare nel profondo umano disseminando con giusta dose i colpi di scena necessari a rompere le certezze prima sui protagonisti e poi nello spettatore.