testata (theda)

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domenica 23 dicembre 2012

les mouvements du bassin

Les mouvements du bassin - HPG - Francia - 2012
Le ossessioni sono alla base delle frustrazioni umane.
Una donna cerca maniacalmente la sua maternità, un’altra cerca una donna da amare, un guardiano di zoo è ossessionato dalla propria forma fisica, un addetto alla sicurezza di un’azienda - anch’esso dominato dalla propria virilità - regola il bilancio familiare permettendo alla propria donna (un transessuale che ama perdutamente) di prostituirsi.
Tutti quanti verranno risucchiati in un vortice di eventi paradossali, che per quanto appaiano lontani  tra loro, in realtà li unirà.   >Lula<

Eric Cantona, Joanna Preiss, HPG, Rachida Brakni - Locarno 2012
Rachida Brakni, HPG
Eric Cantona, HPG

Joanna Preiss, HPG

giovedì 20 dicembre 2012

pietà

Pieta - Ki duk Kim - Corea del sud - 2012
Non c'è spazio per l'amore, non c'è spazio per la sensibilità, non c'è spazio per la solidarietà. C'è spazio solo per la miseria, per la povertà, per la morte e per la vendetta. Questo ultimo sentimento porterà una madre a mettersi in gioco per sconfiggere il dolore. Odio contro odio crea pietà.   >Lula<

Kim Ki-duc - Venezia 2012

la fille de nulle part





La fille de nulle part - Jean Claude Brisseau - Francia - 2012
Un vecchio intellettuale, divenuto misantropo dopo la scomparsa della propria moglie, si fa sconvolgere lo stile di vita dalla comparsa di una giovane, alquanto, misteriosa. Sarà motivo per una rinascita di vecchi ideali e la comparsa di vecchi fantasmi. Quest'incontro sarà rivelante per ambe due i protagonisti, ognuno di loro troverà nell'altro lo scopo della propria esistenza.   >Lula<

jean claude brisseau - locarno 2012
claude morel, virginie legeay, jean claude brisseau - locarno 2012
claude morel, virginie legeay, jean claude brisseau - locarno 2012

cave of forgotten dreams

Cave of forgotten dreams - Werner Herzog - Canada, USA, Francia, Germania, GB - 2010
Un maestro dell'immagine contemporaneo prestato ad un artista dell'immagine del passato. Un'opera nell'opera. Herzog con questo documentario ha dato la possibilità a chiunque di partecipare ad una scoperta unica ma senza contaminarla.   >Lula<

sabato 29 settembre 2012

hafsia herzi

hafsia herzi - venezia 2012

hafsia herzi, mouna soualem - venezia 2012


hafsia herzi - venezia 2012

lunedì 20 agosto 2012

museum hours

Museum hours - Jem Cohen - Austria/USA - 2012
Armiamoci di illimitata pazienza, taccuino, matita e partiamo per questo imprescindibile tour… artistico, turistico e non solo attraversando le sale del Kuntshistorisches Museum di Vienna (con particolare applicazione per Brueghel il Vecchio), girovagando per le strade della medesima città tra pittoreschi scorci, sale da tea e corsie d’ospedale al capezzale di una donna in coma (?).
Un sorvegliante del sopracitato museo, che un tempo lavorava al seguito di rumorosi gruppi rock, passa le sue ore nella quiete del museo contemplando le opere e soprattutto chi le guarda, tra questi egli nota una donna che periodicamente vi trascorre il suo tempo rapita dal fascino dell’arte esposta. I due fanno amicizia imparando a conoscersi nei loro aspetti più privati. Lei, canadese, si trova a Vienna interdetta, spaesata e senza troppi soldi, per assistere una parente (cugina ormai persa di vista) malata terminale ricoverata all’ospedale. Sia il guardiano che la donna sono due anime solitarie che si incontrano e si riconoscono, insieme intraprenderanno il medesimo percorso dello spettatore relazionando la vita normale, quella di tutti i giorni fatta di momenti per lo più insignificanti, con l’arte: come tiene a sottolineare l’autore del film, l’arte ci comunica cose e fatti, per scoprirne l’essenza basta lasciarsi andare cercando di abbattere quelle barriere che solitamente si ergono tra le due dimensioni; in tal senso pare particolarmente esplicita la sequenza che mostra tre avventori completamente nudi mentre contemplano i dipinti (NdR).
I frequentatori di musei o gallerie d’arte non sempre sono preparati nel cogliere tutte le sfumature del “messaggio” artistico, pertanto giunge in aiuto il cicerone. Nello specifico, abbandonati i due amici, si sprofonda in estenuanti spiegazioni, ogni dettaglio, di non so più quale quadro di Brueghel, viene descritto esaurientemente, come l’omino che defeca. L’anima documentaristica di Cohen si palesa prepotentemente e nel il pittore fiammingo egli trova un suo importante predecessore: “capace com’era d’illustrare il reale rappresenta un grande documentarista del suo tempo”.
Di tanto in tanto si esce dalle imponenti stanze del museo, per percorrere le strade viennesi ammantate di malinconico grigiore, alla scoperta di vedute interessanti e mai semplici “cartoline” turistiche.

Il film non scende a compromessi, per tutta la sua durata costringe lo spettatore ha cercare tra i vari elementi una personale logica narrativa, e se risulta interessante le relazione tra vita e arte meno convincente appare l’obbligo ad assistere alla visione di un documentario realizzato con tecnica ineccepibile: “BBC style”.

Tra i produttori dell'opera figura l'amica di Jem Cohen, Patti Smith.

Jem Cohen - Locarno 2012

nuclear waste

Yaderni wydhody - Myroslav Slaboshpytskiy - Ucraina - 2012
Chernobyl, la vita quotidiana ruota attorno alla propria e ben nota tragedia ambientale, ma non senza speranze.

In un territorio devastato e col futuro ineludibilmente segnato, la vita degli uomini non è particolarmente diversa rispetto quella di coloro che vivono in zone “tranquille”, in fondo tutto il mondo, per un verso o per l’altro, è contaminato e non solo dall’inquinamento. La ragione fondamentale del vivere, del sopravvivere, sembra “limitarsi” al mantenimento della razza. Una razza contaminata e vittima, suo (nostro) malgrado dell’infinito nonsense intrinseco nella natura deleteria ed inutile dell’essere vivente razionale.
Piccolo capolavoro! Con la sua schietta semplicità, per nulla didascalica, offre uno strumento di elaborazione antropologica della cultura umana.

Myroslav Slaboshpytskiy - Locarno, 2012

facebook.com/pages/NUCLEAR-WASTE/

johnnie to

Johnnie To - Locarno 2012

leviathan

Leviathan - Lucien Castaing-Taylor/Véréna Paravel - GB/USA/Francia - 2012
Una barca da pesca solca le acque dell’oceano Atlantico seguendo le medesime, fantastiche, rotte della baleniera Pequod. Ma in questo caso non ci si trova di fronte ad un racconto d’avventura bensì dentro la cronaca reale di un equipaggio alle prese con la fatica e il disagio. La trama si sviluppa seguendo un andamento documentaristico, ipnotico e decisamente sperimentale, difficilmente catalogabile.
Questo lavoro inizialmente doveva essere un film politico incentrato attorno al “Leviathan” di Hobbes poi, intrapreso il viaggio in mare, la coppia di autori ha preferito concentrarsi su una diversa idea, principalmente agganciata al Leviatano biblico quindi il “Moby Dick” di Melville: la balena che per le sue dimensioni e la sua potenza bene rappresentava la figura mitologica; stessi mari, stesso confronto tra uomo e natura.
Una grande impresa cinematografica ma non nel senso tecnico, che comunque ha richiesto un grosso sforzo di tempo e di mezzi (circa un anno di riprese e 12 telecamere disseminate in ogni angolo della barca), bensì, come ha raccontato Véréna Paravel, dal punto di vista fisico e soprattutto emotivo: «è stata un’esperienza molto violenta e difficile, con la percezione di capire il significato della parola Inferno», ma anche: «Leviatano, sinonimo di mostro che se risvegliato è in grado di sconvolgere l’ordine del mondo in caos».

Il rumore costante dei motori intervallato dallo sciabordio dell’acqua, il garrire dei gabbiani, le catene o le cime avvolte dai verricelli, il tonfo dei pesci liberati dalle reti sul ponte della nave compongono l’esclusiva e sinistra colonna sonora; le immagini fornite dalle telecamere, letteralmente gettate senza scrupoli tra i pesci boccheggianti o legate sullo scafo che si infrange tra le onde, oppure primissimi piani sulla macellazione delle mante con uncini e coltello seguendo i movimenti regolari e ritmati dei pescatori, coinvolgono totalmente generando una forza espressiva estrema tra il sogno e l’incubo.
Il cinema, questo vero cinema, si fa occhio, vede e rilascia senza compromessi ne mediazioni all’Io profondo percezioni ancestrali, totalizzanti. Il cinema che racconta antitetico al cinema “raccontante”, immagini pure che attraversano il (e non solo un) mondo pieno di situazioni.

sabato 18 agosto 2012

somebody up there like me

Somebody up there likes me - Bob Byington - USA 2011
Lassù qualcuno ci guarda, forse ci ama o forse si prende gioco di noi oppure nessuno ci ama, ma pensarlo ci aiuta a prendere la vita con immaginifica ironia. Commedia caustica, in quota Sundance, da non confondere con l’omonimo film di Robert Wise del 1956 dove, anziché la storia di un pugile che si riscatterà da un destino fosco, vediamo il susseguirsi di eventi, normalmente legati alla banale vita quotidiana fatta di gioie e dolori per uno stralunato e apatico personaggio dotato di eccezionale cinismo, eternamente giovane ma circondato da una varia umanità che subisce il naturale cedimento fisico. Sì, perché Max Youngman, il personaggio principale del film, ha un segreto che lo rende una sorta di Dorian Gray dei nostri tempi, una misteriosa valigia blu che emana energia vitale capace di donare l’eterna giovinezza a colui che la apre.
«Tutti pensiamo che non moriremo mai». Fino a quando non assisterai alla dipartita del tuo primo gatto, allora, presa coscienza della realtà rimossa, qualcosa può cambiare: la vita si presenterà con ineludibile razionalità, sbattendoti in faccia che quel giorno prima o poi arriverà anche per te. Partendo da questo semplice presupposto Bob Byington, l’autore e regista del film, ha condensato il suo pensiero sull’argomento, creando un personale antidoto sia per affrontare l’ineluttabile sia per superare tutta quella serie di esperienze negative della quale la vita è costellata: il disincanto come condizione esistenziale poiché non esistono vie di fuga, la vita procede comunque e, forse, non ne vale la pena pensarci troppo.

Un bel gioco che permette di sopportare “la condanna di esistere” è probabilmente il grande segreto della felicità o almeno della serenità interiore: il sogno, la fantasia, la follia possono rappresentare una soluzione per edificare il proprio mondo magico e perfetto malgrado, prima o poi, la famigerata riga del prodotto si presenterà; la propria esistenza finirà lasciando l'incompiutezza umana come un tassello mancante del puzzle e solo l'illusione di aver lasciato per i posteri qualcosa di utile o più banalmente un'accozzaglia di geni, alleggerirà l'angoscia della propria sistematica inutilità.

domenica 22 luglio 2012

tonino guerra

Il 16 marzo, il giorno del suo 92° compleanno, viene inaugurata, nel paese natale, Santarcangelo di Romagna, un’importante mostra dedicata ai lavori pittorici di Tonino Guerra. Conosciuto in tutto il mondo per la sua opera letteraria di sceneggiatore per il cinema e poeta lo si scopre in versione di artista figurativo. Dipinti, sculture, decorazioni eseguite in proprio o con la collaborazione dei suoi amici artigiani, sanno descrivere la sua personale visione della vita e del mondo.
Tra le molteplici fonti di ispirazione, oltre alle tradizioni e i costumi delle genti di Romagna, si intravede una particolare attrazione per l’amata Russia, paese che da sempre ricambia l’affetto. Dopo soli cinque giorni dall’inaugurazione della mostra Guerra ci lascerà per intraprendere quell’ultimo viaggio che tanto lo turbava.


cavallo di Suzdal'
(fonte di ispirazione per gli animali fantastici di Tonino Guerra)


lunedì 9 aprile 2012

katya shagalova



Pesaro - 2010


emidio greco

Rimini - 2011

hitoshi matsumoto

Locarno, 2011





two years at sea

Two years at sea – Ben Rivers – GB 2011
Il film indaga la vita di un eremita dei nostri tempi, un uomo che a modo suo si è staccato dalla società “civile” scegliendo di vivere in solitudine nella natura delle  Highland scozzesi, circondato di rottami e rifiuti della contemporaneità - materia da plasmare e trasformare in oggetti utili sia per sopravvivere sia per giocare. Jake Williams è il nome di questo stravagante personaggio dalle sembianze tardo-freak, che incurante (almeno apparentemente) del tempo e delle stagioni si è costruito un habitat “fantastico” a sua misura. La sua esistenza ruota intorno ad un grande casolare da lui stesso costruito qualche decennio prima, coronamento di un sogno costatogli due anni di lavoro marittimo. Tra le attività del protagonista rimarranno memorabili la costruzione e l’utilizzo di una improbabile zattera oppure la trasformazione di una vecchia e scalcinata roulotte in terrazzo belvedere. La zattera rappresenta uno dei momenti più intensi di questo curioso percorso solitario. L’imbarcazione è costituita da una rete metallica, un materassino gonfiabile e delle taniche in plastica il tutto unito alla meglio, il momento del “varo” rappresenta un indimenticabile occasione di pura suspense e quando il suo progettista si lascia andare alla deriva spinto più dal pensiero che dall’inesistente corrente delle acque di un placido laghetto ne consegue un momento di incantata comicità. In questo innocente percorso vediamo come Jake ricicla una roulotte, ormai inutilizzabile, in “rifugio” sospeso nel vuoto issata in cima ad un albero e godere del panorama: rimarrà uno dei tanti misteri, che disseminano il film, su come questo sia stato reso possibile. Come descrive il film, ogni oggetto sapientemente manipolato trova una nuova destinazione d’uso: con la sistemazione dei suoi rottami jack crea attrezzature di ogni tipo come ad esempio la doccia con la quale si lava, senza sapone, nel mezzo di una caotica cucina.
Ogni azione come il lavarsi, leggere un libro, ascoltare dei vecchi dischi, diventano un lavoro, una pratica per godere ogni minuto della propria vita nobilitandola senza dover sottostare al ben che minimo diktat.
Concludendo, malgrado Jake Williams – già protagonista di un precedente lavoro di Rivers – abbia scelto di vivere in solitudine, se si esclude la compagnia di un gatto, ha accettato che un film-maker si intrufolasse nella sua intimità lasciandosi riprendere apparentemente senza limite.



Costruire un racconto partendo dal vissuto reale può essere particolarmente interessante, e in questo periodo storico sembra essere una scelta stilistica vincente. Non è necessaria una particolare capacità tecnica, anzi gli evidenti difetti si possono spacciare per introspezioni linguistiche ricche di significati poetici, inoltre non sono necessari grandi investimenti economici e questo libera gli autori di dare libero sfogo alle proprie fantasie. Two years at sea appartiene a questo sottogenere, il documentario non documentario, girato tutto in bianco e nero sgranato, approssimativo, la fotografia trascurata, presa diretta senza dialogo e senza voce fuori campo (neanche il gatto si azzarda nel ben che minimo miagolio), azioni semplici: manierismo o cinema puro?  
Ben Rivers racconta, la vita di un uomo che apparentemente si è staccato dalla società ma capace di svolgere abilmente il ruolo d’attore, e sfrutta furbescamente l’occasione per realizzare un’opera emozionante e magicamente visionaria. Cinema vero.

sabato 17 marzo 2012

le nevi del Kilimangiaro

Les neiges du Kilimandjaro – Robert Guédiguian – Francia 2011
Ventunesimo secolo, prima decade, Marsiglia.
Un gruppo di operai lascia decidere dalla sorte quale sarà il loro futuro.
Questo non è l’incipit di un film fantascientifico ma dell’ultimo lavoro di Robert Guédiguian, la cronaca di una vicenda come tante che possono accadere, e accadono, sempre più frequentemente nella società contemporanea, liberamente ispirata alla poesia “Les pouvres gens” di Victor Hugo.
Il cineasta francese, con il suo inconfondibile stile manierato, descrive, come detto, una vicenda figlia di quest’epoca, facendola ruotare attorno ad un nuovo concetto di classe sociale o più precisamente alla seguente domanda: esiste ancora la classe operaia? Già, la “classe operaia” tra virgolette. È lecito, obbligatorio farsi questa domanda. Se un tempo avremmo visto mettere in scena, dal medesimo autore, specifici dualismi tra classi sociali eterogenee (poveri contro ricchi) in questa occasione siamo di fronte ad uno scontro tra elementi appartenenti, per certi versi, alla medesima classe sociale.     
Guédiguian affronta con coraggio una sconfitta epocale, una sconfitta che gli appartiene come appartiene a tutti coloro che hanno creduto all’evoluzione sociale basata sulla solidarietà, giustizia, uguaglianza. Ebbene, sono proprio gli “ultimi” ad aver perso la speranza di un riscatto, forse perché orfani di qualsivoglia ideale?  
In conclusione, secondo il regista non tutto è da buttare e si avverte un’inspiegabile fiducia verso il genere umano, ma la storia sta cambiando inesorabilmente e l’immortalità esiste solo nei sogni. Non sono solo i ricchi il problema per i poveri ma i poveri stessi.