testata (theda)

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sabato 18 agosto 2012

somebody up there like me

Somebody up there likes me - Bob Byington - USA 2011
Lassù qualcuno ci guarda, forse ci ama o forse si prende gioco di noi oppure nessuno ci ama, ma pensarlo ci aiuta a prendere la vita con immaginifica ironia. Commedia caustica, in quota Sundance, da non confondere con l’omonimo film di Robert Wise del 1956 dove, anziché la storia di un pugile che si riscatterà da un destino fosco, vediamo il susseguirsi di eventi, normalmente legati alla banale vita quotidiana fatta di gioie e dolori per uno stralunato e apatico personaggio dotato di eccezionale cinismo, eternamente giovane ma circondato da una varia umanità che subisce il naturale cedimento fisico. Sì, perché Max Youngman, il personaggio principale del film, ha un segreto che lo rende una sorta di Dorian Gray dei nostri tempi, una misteriosa valigia blu che emana energia vitale capace di donare l’eterna giovinezza a colui che la apre.
«Tutti pensiamo che non moriremo mai». Fino a quando non assisterai alla dipartita del tuo primo gatto, allora, presa coscienza della realtà rimossa, qualcosa può cambiare: la vita si presenterà con ineludibile razionalità, sbattendoti in faccia che quel giorno prima o poi arriverà anche per te. Partendo da questo semplice presupposto Bob Byington, l’autore e regista del film, ha condensato il suo pensiero sull’argomento, creando un personale antidoto sia per affrontare l’ineluttabile sia per superare tutta quella serie di esperienze negative della quale la vita è costellata: il disincanto come condizione esistenziale poiché non esistono vie di fuga, la vita procede comunque e, forse, non ne vale la pena pensarci troppo.

Un bel gioco che permette di sopportare “la condanna di esistere” è probabilmente il grande segreto della felicità o almeno della serenità interiore: il sogno, la fantasia, la follia possono rappresentare una soluzione per edificare il proprio mondo magico e perfetto malgrado, prima o poi, la famigerata riga del prodotto si presenterà; la propria esistenza finirà lasciando l'incompiutezza umana come un tassello mancante del puzzle e solo l'illusione di aver lasciato per i posteri qualcosa di utile o più banalmente un'accozzaglia di geni, alleggerirà l'angoscia della propria sistematica inutilità.