testata (theda)

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lunedì 9 aprile 2012

two years at sea

Two years at sea – Ben Rivers – GB 2011
Il film indaga la vita di un eremita dei nostri tempi, un uomo che a modo suo si è staccato dalla società “civile” scegliendo di vivere in solitudine nella natura delle  Highland scozzesi, circondato di rottami e rifiuti della contemporaneità - materia da plasmare e trasformare in oggetti utili sia per sopravvivere sia per giocare. Jake Williams è il nome di questo stravagante personaggio dalle sembianze tardo-freak, che incurante (almeno apparentemente) del tempo e delle stagioni si è costruito un habitat “fantastico” a sua misura. La sua esistenza ruota intorno ad un grande casolare da lui stesso costruito qualche decennio prima, coronamento di un sogno costatogli due anni di lavoro marittimo. Tra le attività del protagonista rimarranno memorabili la costruzione e l’utilizzo di una improbabile zattera oppure la trasformazione di una vecchia e scalcinata roulotte in terrazzo belvedere. La zattera rappresenta uno dei momenti più intensi di questo curioso percorso solitario. L’imbarcazione è costituita da una rete metallica, un materassino gonfiabile e delle taniche in plastica il tutto unito alla meglio, il momento del “varo” rappresenta un indimenticabile occasione di pura suspense e quando il suo progettista si lascia andare alla deriva spinto più dal pensiero che dall’inesistente corrente delle acque di un placido laghetto ne consegue un momento di incantata comicità. In questo innocente percorso vediamo come Jake ricicla una roulotte, ormai inutilizzabile, in “rifugio” sospeso nel vuoto issata in cima ad un albero e godere del panorama: rimarrà uno dei tanti misteri, che disseminano il film, su come questo sia stato reso possibile. Come descrive il film, ogni oggetto sapientemente manipolato trova una nuova destinazione d’uso: con la sistemazione dei suoi rottami jack crea attrezzature di ogni tipo come ad esempio la doccia con la quale si lava, senza sapone, nel mezzo di una caotica cucina.
Ogni azione come il lavarsi, leggere un libro, ascoltare dei vecchi dischi, diventano un lavoro, una pratica per godere ogni minuto della propria vita nobilitandola senza dover sottostare al ben che minimo diktat.
Concludendo, malgrado Jake Williams – già protagonista di un precedente lavoro di Rivers – abbia scelto di vivere in solitudine, se si esclude la compagnia di un gatto, ha accettato che un film-maker si intrufolasse nella sua intimità lasciandosi riprendere apparentemente senza limite.



Costruire un racconto partendo dal vissuto reale può essere particolarmente interessante, e in questo periodo storico sembra essere una scelta stilistica vincente. Non è necessaria una particolare capacità tecnica, anzi gli evidenti difetti si possono spacciare per introspezioni linguistiche ricche di significati poetici, inoltre non sono necessari grandi investimenti economici e questo libera gli autori di dare libero sfogo alle proprie fantasie. Two years at sea appartiene a questo sottogenere, il documentario non documentario, girato tutto in bianco e nero sgranato, approssimativo, la fotografia trascurata, presa diretta senza dialogo e senza voce fuori campo (neanche il gatto si azzarda nel ben che minimo miagolio), azioni semplici: manierismo o cinema puro?  
Ben Rivers racconta, la vita di un uomo che apparentemente si è staccato dalla società ma capace di svolgere abilmente il ruolo d’attore, e sfrutta furbescamente l’occasione per realizzare un’opera emozionante e magicamente visionaria. Cinema vero.