testata (theda)

testata (theda)

domenica 30 ottobre 2011

this is england

This is England – Shane Meadows – GB 2006
Descrizione della periferia inglese degli anni '80 dove adolescenti disadattati si amalgamano con adulti disadattati prodotti della politica Thatcher.
Si riesce a rivivere quello che si respirava, e si respira, in una Europa impoverita sia moralmente che economicamente, dove la paura del diverso, sposata dall'estrema destra, fa breccia nei sentimenti nazionalistici di poveri ignoranti.
La storia è una delle tante storie di band giovanili (skinhead) dove c'è un leader che prende sotto la sua ala protettrice il ragazzino difficile ed orfano di padre, morto in guerra nelle Falkland.
Brutti, sporchi e cattivi, ma solo in apparenza, perchè obbligati a rispettare un clichè ormai cucitisi addosso. Emergono in tutti i personaggi i lati estremi di crudeltà ed in contrapposizione quelli di bontà.
Quando il ruolo del cattivo comincerà a prendere il sopravvento fino a sfiorare la morte di uno dei personaggi la redenzione l'avrà vinta.
Ognuno, da quando nasce, prende a riferimento dei maestri di vita, ma non sempre sono quelli giusti. Sta a noi aprire gli occhi e decidere quello che è giusto senza intromissioni altrui.
>Lula<

domenica 9 ottobre 2011

venere nera

Venus noire – Abdel Kechiche – Francia 2010
Con il suo solito impegno nel raccontare le storie di incomunicabilità tra tradizioni e culture eterogenee come quelle africane ed europee, l’autore rimane fedele al proprio stile di narratore.
In questo caso non indaga nella contemporaneità, nel difficile rapporto tra immigrati, di prima seconda o terza generazione, e coloro che si definiscono cittadini autoctoni, bensì analizza e racconta una vicenda realmente accaduta all’inizio del XIX secolo dove una donna di origine sudafricana lascia la sua terra per seguire il “padrone” afrikaner in Inghilterra. La donna di etnia Khoi per le sue caratteristiche fisiche si trasformerà in un “fenomeno da baraccone” nei teatri di terz’ordine, prima londinesi poi parigini.
La libertà e l’uguaglianza non esistono, men che meno per una donna africana in Europa dove l’illusione di riscatto si trasforma in privazione della propria personalità. La libertà e l’uguaglianza non esistono se entrano in gioco interessi particolari non necessariamente economici, ma anche ambizioni personali, arroganza e vanità. La libertà e l’uguaglianza non potevano esistere due secoli fa e non possono esistere ora, la vicenda della venere nera (Saartjie Baartman) diviene una tragica metafora contemporanea, capace di includere bianchi e neri, poveri, ignoranti, malati, “spiriti liberi”, diversi.
Kechiche ricostruisce la storia, partendo dalla fine, dal momento in cui un anatomista davanti ad uno stuolo di accademici spiega le caratteristiche degli ottentotti utilizzando il calco, disegni e i genitali amputati a Saartjie dopo la sua morte, quindi inizia il racconto mantenendo una trama lineare riuscendo a descrivere i personaggi che di volta in volta incontreranno la protagonista senza facile retorica e didascalismo. Malgrado il “campo sia minato”, non indugia oltre il necessario nel voyeurismo, benché talvolta sembra voglia incoraggiare una sorta di perversione psicologica nello spettatore. Purtroppo la lunghezza eccessiva del film, un’insistita ripetitività delle situazioni e l’uso logorroico delle parole nei dialoghi fanno svanire l’interesse della visione (pratica già sperimentata in Cous Cous).
Notevole la prova dell’attrice (Yahima Torrès) capace di trasmettere con freddezza i sentimenti del personaggio restituendo la verità e la complessità della vita e mantenendo una distanza sostanziale con lo spettatore che non riesce a parteggiare per lei.

sabato 1 ottobre 2011

lo spavaldo

Little Fauss and Big Halsy - USA 1970 - Sidney J. Furie

Robert Redford... Halsy Knox
Michael J. Pollard...
Little Fauss - Cucciolo - "Tappo"
Lauren Hutton... Rita Nebraska
Noah Beery jr... Seally Fauss
Lucille Benson... mamma Fauss

Nelle polverose piste in terra battuta dell’Arizona si svolgono impegnative competizioni motociclistiche di regolarità (come si diceva un tempo) e attorno ad esse, di volta in volta, si crea un microcosmo fatto di personaggi eccentrici e caratteristici. Tra questi ci sono i due protagonisti del film, Halsy Knox (Robert Redford) lo spavaldo, cinico pilota per caso, il quale grazie alla sua dialettica spregiudicata fatta di menzogne e a miseri premi-gara tira-a-campare; l’altro, è “piccolo Fauss” ovvero Cucciolo (Michael J. Pollard), ingenuo e semplice meccanico della provincia agricola americana più profonda con un’innata passione per i motori e le moto – mentre Halsy divide il letto con le donne, Cucciolo lo divide con la motocicletta.
Dopo un incidente provocato da Halsy, Cucciolo si frattura una gamba. Questo infortunio pregiudica la regolare partecipazione al campionato ma Halsy, che nel frattempo aveva subito una lunga squalifica, gli propone una soluzione ambigua ma allettante: uno scambio di persona. Con la licenza e la moto di Cucciolo correrà Halsy cosicché il primo otterrà punti per poter fare il salto nei professionisti e coronare il suo sogno. Tutto fila (quasi) liscio fino a quando nel loro pellegrinare tra una corsa e l’altra non piomberà una donna, bella e “libera”, tale Rita Nebraska (Lauren Hutton). Cucciolo si innamora di Rita che ovviamente gli preferisce l’amico, questa cosa comporterà una inevitabile rottura del sodalizio tra i due uomini.
Le strade si separano, Halsy senza il geniale meccanico non ha più una moto competitiva inoltre la sua relazione con Rita, nel frattempo rimasta incinta, si complica, mentre Cucciolo, tornato nella sua protettiva e ruspante famiglia, ha trovato le chiavi giuste per fare il salto nel motociclismo che conta: i Gran Premi in circuito.
Rita lascerà Halsy portandosi via la bimba appena nata e Cucciolo, in procinto di partire per il Vietnam, avrà un’ultima occasione per “vendicarsi” de “l’amico/nemico” proprio in un Gran Premio. 



Il motorismo, in questo caso,  con una sua accezione specifica crea, in forma di Genere cinematografico, uno spazio caratteristico: la motocicletta e il suo contesto.
Nel mondo delle corse la competitività, la vanagloria e il cinismo sono ingredienti necessari. Lo spavaldo racconta questo, un “circo” formato da dilettanti allo sbaraglio pronti a tutto per emergere e dove la moto può essere il mezzo per raggiungere lo scopo ma anche, come dice il protagonista “negativo” del film, un giocattolo molto pericoloso. Il cavaliere impavido si immagina come icona mitica tra realtà è leggenda e questi, sinceri o cialtroni personaggi, ne incarnano romanticamente il ruolo. Un ruolo che, in altro modo, si può analizzare come un più banale ma realistico, per quanto inconscio, prolungamento fallico: una sorta di filo rosso che collegherà il binomio uomo-macchina sia in questo e sia in altri film col medesimo soggetto.
“A che serve la verità?” è un’altra battuta di Halsy sulla quale si sviluppa gran parte della storia. La menzogna è uno strumento utile all’uomo (oppure all’intera umanità) incapace di accettare un ruolo, nel peggiore dei casi, predestinato.
Le vicende raccontate nel film sono realistiche e la finzione traduce con onestà semi-documentaristica la vitalità di un mondo rinchiuso nel suo perimetro. Non luogo abitato da, più o meno allegre famigliole organizzate (tra le loro mani si alternano forchettoni per barbecue e chiavi dinamometriche), sognatori boriosi, geniali e intraprendenti truffatori, schizofrenici temerari, talenti innati e puttane. Soldi e miseria. I tempi cambiano, le abitudini si trasformano e si adeguano ad essi, ma il minimo comun denominatore rimane immutato.
In quanto Genere, non si può sottovalutare senza rimorso il valore di un film come questo ponendosi su degli schemi basici, la sua qualità va cercata nello specifico del soggetto,  pertanto richiede una certa preparazione “culturale” o, magari, una più semplice immedesimazione nel malinconico sguardo del giovane Fauss (quanto mai azzeccata la trasposizione nell’edizione italiana in Cucciolo, con quel “muso” ricorda meravigliosamente il personaggio dei Sette nani) capace di trasmettere sentimenti che abbracciano sia una disperata rassegnazione sia un’ingenua caparbietà.  
Coinvolgente e congeniale la colonna sonora impostata sulle canzoni di Johnny Cash.

______________________________________________________________le moto

Yamaha DT-1 mx (250):
Prima vera e propria moto creata appositamente per il fuoristrada, il motore era un monocilindrico a 2 tempi di 246 cc, con valvola di aspirazione lamellare, raffreddato ad aria che sviluppava una potenza massima prossima ai 19 CV a 6.000 giri (in seguito raggiunse i 25 CV a 7.000 giri), il cambio era 5 marce.
I cerchi erano in alluminio di grosso diametro, 21 x 3 pollici all’anteriore e 18 x 4 pollici al posterore.
I freni a tamburo.
Il suo peso era di circa 120 Kg.
La moto rimase sul mercato fino al 1982.  

Sulla griglia di partenza di una gara si intravede, tra le altre, una Triumph.







I sidecar non erano prodotti da case motociclistiche ma il frutto della fantasia e genio di artigiani i quali gli adattavano vari tipi di motori sia motociclistici sia automobilistici (prevalentemente BMW bicilindrici ma anche motori MV Agusta col cardano).

Yamaha TD2 (250):
Fu la migliore moto per corridori privati alla fine degli anni ‘60 inizio ’70, bicilindrica a 2 tempi raffreddata ad aria con cambio a cinque marce. Gli veniva accreditata una potenza massima di 44 CV a 10.000 giri. Telaio in tubi d’acciaio a doppia culla, le sospensioni e le sovrastrutture erano uguali a quelli delle moto ufficiali (RD 56) di qualche anno precedente. I freni erano enormi tamburi a ganasce. Il peso era di (“solo”) 115 Kg. Da questo progetto furono derivate anche le 125 e 350 cc da competizione.