Little Fauss and Big Halsy - USA 1970 - Sidney J. Furie
Robert Redford... Halsy Knox
Michael J. Pollard... Little Fauss - Cucciolo - "Tappo"
Lauren Hutton...
Rita Nebraska
Noah Beery jr...
Seally Fauss
Lucille Benson...
mamma Fauss
Nelle polverose piste in terra battuta dell’Arizona si svolgono impegnative competizioni motociclistiche di regolarità (come si diceva un tempo) e attorno ad esse, di volta in volta, si crea un microcosmo fatto di personaggi eccentrici e caratteristici. Tra questi ci sono i due protagonisti del film, Halsy Knox (Robert Redford) lo spavaldo, cinico pilota per caso, il quale grazie alla sua dialettica spregiudicata fatta di menzogne e a miseri premi-gara tira-a-campare; l’altro, è “piccolo Fauss” ovvero Cucciolo (Michael J. Pollard), ingenuo e semplice meccanico della provincia agricola americana più profonda con un’innata passione per i motori e le moto – mentre Halsy divide il letto con le donne, Cucciolo lo divide con la motocicletta.
Dopo un incidente provocato da Halsy, Cucciolo si frattura una gamba. Questo infortunio pregiudica la regolare partecipazione al campionato ma Halsy, che nel frattempo aveva subito una lunga squalifica, gli propone una soluzione ambigua ma allettante: uno scambio di persona. Con la licenza e la moto di Cucciolo correrà Halsy cosicché il primo otterrà punti per poter fare il salto nei professionisti e coronare il suo sogno. Tutto fila (quasi) liscio fino a quando nel loro pellegrinare tra una corsa e l’altra non piomberà una donna, bella e “libera”, tale Rita Nebraska (Lauren Hutton). Cucciolo si innamora di Rita che ovviamente gli preferisce l’amico, questa cosa comporterà una inevitabile rottura del sodalizio tra i due uomini.
Le strade si separano, Halsy senza il geniale meccanico non ha più una moto competitiva inoltre la sua relazione con Rita, nel frattempo rimasta incinta, si complica, mentre Cucciolo, tornato nella sua protettiva e ruspante famiglia, ha trovato le chiavi giuste per fare il salto nel motociclismo che conta: i Gran Premi in circuito.
Rita lascerà Halsy portandosi via la bimba appena nata e Cucciolo, in procinto di partire per il Vietnam, avrà un’ultima occasione per “vendicarsi” de “l’amico/nemico” proprio in un Gran Premio.
Il motorismo, in questo caso, con una sua accezione specifica crea, in
forma di Genere cinematografico, uno spazio caratteristico: la motocicletta e
il suo contesto.
Nel mondo delle corse la competitività, la vanagloria e il
cinismo sono ingredienti necessari. Lo spavaldo
racconta questo, un “circo” formato da dilettanti allo sbaraglio pronti a
tutto per emergere e dove la moto può essere il mezzo per raggiungere lo scopo
ma anche, come dice il protagonista “negativo” del film, un giocattolo molto
pericoloso. Il cavaliere impavido si immagina come icona mitica tra realtà è
leggenda e questi, sinceri o cialtroni personaggi, ne incarnano romanticamente il
ruolo. Un ruolo che, in altro modo, si può analizzare come un più banale ma
realistico, per quanto inconscio, prolungamento fallico: una sorta di filo
rosso che collegherà il binomio uomo-macchina sia in questo e sia in altri film
col medesimo soggetto.
“A che serve la verità?” è un’altra battuta di Halsy sulla
quale si sviluppa gran parte della storia. La menzogna è uno strumento utile all’uomo
(oppure all’intera umanità) incapace di accettare un ruolo, nel peggiore dei
casi, predestinato.
Le vicende raccontate nel film sono realistiche e la
finzione traduce con onestà semi-documentaristica la vitalità di un mondo
rinchiuso nel suo perimetro. Non luogo abitato da, più o meno allegre
famigliole organizzate (tra le loro mani si alternano forchettoni per barbecue
e chiavi dinamometriche), sognatori boriosi, geniali e intraprendenti
truffatori, schizofrenici temerari, talenti innati e puttane. Soldi e miseria.
I tempi cambiano, le abitudini si trasformano e si adeguano ad essi, ma il
minimo comun denominatore rimane immutato.
In quanto Genere, non si può sottovalutare senza rimorso il
valore di un film come questo ponendosi su degli schemi basici, la sua qualità
va cercata nello specifico del soggetto,
pertanto richiede una certa preparazione “culturale” o, magari, una più
semplice immedesimazione nel malinconico sguardo del giovane Fauss (quanto mai
azzeccata la trasposizione nell’edizione italiana in Cucciolo, con quel “muso”
ricorda meravigliosamente il personaggio dei Sette nani) capace di trasmettere
sentimenti che abbracciano sia una disperata rassegnazione sia un’ingenua
caparbietà.
Coinvolgente e congeniale la colonna sonora impostata sulle
canzoni di Johnny Cash.
______________________________________________________________le moto
Yamaha DT-1 mx (250):
Prima vera e propria moto creata appositamente per il
fuoristrada, il motore era un monocilindrico a 2 tempi di 246 cc, con valvola
di aspirazione lamellare, raffreddato ad aria che sviluppava una potenza
massima prossima ai 19 CV a 6.000 giri (in seguito raggiunse i 25 CV a 7.000
giri), il cambio era 5 marce.
I cerchi erano in alluminio di grosso diametro, 21 x 3 pollici all’anteriore e
18 x 4 pollici al posterore.
I freni a tamburo.
Il suo peso era di circa 120 Kg.
La moto rimase sul mercato fino al 1982.
Sulla griglia di partenza di una gara si intravede, tra le
altre, una Triumph.
I sidecar non erano prodotti da case motociclistiche ma il
frutto della fantasia e genio di artigiani i quali gli adattavano vari tipi di motori
sia motociclistici sia automobilistici (prevalentemente BMW bicilindrici ma anche motori MV Agusta col
cardano).
Yamaha TD2 (250):
Fu la migliore moto per corridori privati alla fine degli
anni ‘60 inizio ’70, bicilindrica a 2 tempi raffreddata ad aria con cambio a
cinque marce. Gli veniva accreditata una potenza massima di 44 CV a 10.000
giri. Telaio in tubi d’acciaio a doppia culla, le sospensioni e le sovrastrutture
erano uguali a quelli delle moto ufficiali (RD 56) di qualche anno precedente. I
freni erano enormi tamburi a ganasce. Il peso era di (“solo”) 115 Kg. Da questo progetto
furono derivate anche le 125 e 350 cc da competizione.